CARNASCЀR FASCIAN

CARNASCЀR FASCIAN

REPORTAGE

La gente che assiste al Carnevale Ladino di Fassa chiede spesso: “Qual è il significato di queste maschere”? Il significato delle maschere va letto nel contesto di quello che era l’assetto della cultura tradizionale nella valle di Fassa (Trentino). Ma andiamo con ordine. I protagonisti del Carnevale di Fassa sono due grandi gruppi di maschere: quelle che io ho chiamato le Maschere Guida e la Maschere di Gruppo.

Le maschere di Gruppo sono divise fra “i belli” e “i brutti”, mèscres a bel e mèscres a burt. Da un punto di vista canonico i belli e i brutti sono sempre maschio e femmina, om e fémena, una coppia sposata, i quali sono o estremamente belli o estremamente brutti, secondo i canoni carnevaleschi dell’esagerazione: gli uni fanno le cose in maniera follemente sgangherata, gli altri in maniera follemente precisa. Questi sono i due poli universali del Carnevale, non solamente  per quello del paesino di Penìa.

Poi ci sono le Maschere Guida, il Bufon, il Laché e i Marascons, maschere che non rappresentano assolutamente niente. Se noi le guardiamo attentamente esse sono il risultato di un assemblaggio dei costumi festivi maschile e femminile, con addizione di fiori, la coda del gallo forcello, lo specchio, lo scettro, i campanacci. Sono quindi personaggi che non rappresentano altro che se stessi: sono autoreferenziali. Se consideriamo che gli interpreti delle Maschere Guida dovevano essere un tempo i coscritti del nuovo anno, comprendiamo il perché esse nono sono né decisamente maschili, né decisamente femminili: sono personaggi ambivalenti, né carne né pesce. Ciascuno di essi è di fatto “un iniziando”, una persona che accede alla maggiore età, una persona che non è più un bambino e non è ancora un adulto: è ancora in mezzo al guado. Infatti, le faceres che i Marascogn tengono in mano, sono maschere asessuate, androgine, ed hanno gli occhi completamente ritagliati: sono maschere “non maschere”, che mostrano la congruenza tra il volto reale, quello del giovane androgino che sta passando all’età adulta, e la maschera lignea che egli stesso porta in mano; esse non coprono affatto il volto, come nel caso delle maschere a bel e a burt, ma lo rispecchiano.

Dunque le Maschere Guida sono le maschere per eccellenza, nel senso che sono incarnate dai coscritti, coloro che passano dall’identità di giovani all’identità di adulti. Da sottolineare ancora una volta che la facera delle Maschere Guida è una maschera che non nasconde ma rivela, e ciò vale anche per il Bufon: egli indossa per lo più la facera, ma altrettanto spesso la alza e tutti conoscono benissimo la sua identità, mentre invece per le mèscres a bel e a burt è assolutamente obbligatorio mascherarsi completamente e celare accuratamente la propria identità. Su questo tutti gli informatori hanno sempre concordato con insistenza: se uno veniva riconosciuto durante una performance doveva togliersi la maschra ed era per lui una vergogna terribile. Viceversa, strappare la maschera dal volto di un mascheratopoteva essere motivo di reazioni violente fino all’omicidio: era assolutamente un tabù.

Si chiarisce dunque in modo convincente, come rissulta non solo dai miei studi sul Carnevale Fassano, ma anche da quelli della Cappelletto su Bagolino, che il Carnevale, almeno nelle Alpi, ma probabilmente anche altrove, aveva la funzione di rito di passaggio, una funzione iniziatica, come per altro una funzione iniziatica hanno tutte le maschere a livello interculturale. E questo nelle culture alpine si è mantenuto molto più a lungo, poiché più a lungo si è mantenuta quella che era la funzione sociologica dell’iniziazione, ossia la procedura volta a creare individui socilamnete abilitati ad assumere i ruoli chiave della formazione sociale alpina, incentrata sulla famiglia nucleare: solamente se un individuo era capo di un “fuoco” (ossia di un’unità di produzione e di consumo) poteva partecipare all’assemblea dei vicini che gestiva il Ben Comun, ossia i pascoli di alta montagna e le foreste, in quanto proprietario dei terreni arabili e dei pré da cèsa posti nel fondovalle.

Dunque il Carnevale sanciva l’ingresso nella “corte degli attori” di una nuova generazione, che avendo passato il rito dell’iniziazione eratitolata ad accedere ai ruoli centrali della formazione sociale. In questo senso il Carnevale era del tutto funzionale al tipo di organizzazione sociale che atteneva alle Comunità di valle.

Quello che le ricerche hanno portato in evidenza non rappresenta in sé niente di nuovo: i lavori storici di De Gubernatis (1867), di Pola Falletti di Villafalletto (1939) e altri, già puntavano in quella direzione offrendo indicazioni di tipo strutturale, pur non essendo ancora radicati nella ricerca sul campo a vasto raggio. Passando dallo studio del Carnevale Fassano alle ricerche sulle società segrete delle maschere in Africa occidentale ho potuto verificare che in quell’area la funzione iniziatica della maschera è palese ed esplicita: superato il rito iniziatico il giovane è pronto ad assumersi tutte le responsabilità di un individuo pienamente integrato all’interno del sistema riproduttivo. Non è affatto vero che le comunità alpine hanno mantenuto questo tipo di cultura solo perché erano isolate (il che è vero, in parte): ci sono degli aspetti conservativi della cultura alpina che sopravvivono proprio perché è rimasto in vita fino ad un certo punto un determinato modo di produzione. Per questo motivo è lecito rivendicare alle Alpi, alla Val di Fassa in particolare, il fatto di aver mantenuto forme di organizzazione sociale e forme di espressione simbolica coerenti con quel tipo d’organizzazione che altrove si sono perse perché sono cambiate le condizioni di contorno. _ Cesare Poppi antropologo/ Giulio Malfer Fotografo