Ermanno olmi

Ermanno olmi

PORTRAITS

Asiago marzo 2014 conferenza stampa di Ermanno Olmi sul suo ultimo film ‘Torneranno i prati’.

Perché questo film, ma soprattutto perché la guerra.

In questo caso non è importante il cinema in quanto tale. Diciamo che, in maniera un po’ non dico spregiudicata ma, vorrei che prima ancora, che fosse un bel film, fosse un film utile.

C’è in tutte le celebrazioni, il pericolo, dello sventolio di bandiere, e questo ci vuole anche, perché, come dire, è uno dei modi di ricordare, ma guai se fosse il solo modo per ricordare.

E quindi dobbiamo capire perché la guerra e perché questa guerra mondiale è accaduta. Noi non ce lo siamo mai posto probabilmente perché le versioni ufficiali non sono mai credibili ci sono sempre percentuali di bugie che sono in qualche modo quegli atti di prudenza che è bene che non accadono, no invece non devono accadere, non deve accadere che siano taciute. Noi dobbiamo sapere, conoscere, perché altrimenti, la storia come può essere maestra di vita? Se ci viene una storia che non è sincera, anzi che non è onesta? Allora a cento anni di distanza credo che il miglior modo per celebrare questo conflitto mondiale, sia proprio questo, capire perché è successo e noi oggi siamo ad una vigilia che rischia di somigliare molto, ma con conseguenza ben più gravi a quella prima guerra mondiale.

Perché ancora si parla di guerra? Ma possibile che la civiltà non aiuti a capire le cose più ovvie e scontate, come la guerra, è l’atto più stupido che l’umanità possa compiere? Come è possibile. Allora la celebrazione cosa deve essere? Proprio questo voglio capire perché. Perché non succeda un’altra volta. Però anche queste cose quante volte le abbiamo sentite dire e le abbiamo dette, e poi stranamente ci sono, chiamiamoli venti contrari, che ahimè portano nubi burrascose. Io non vorrei essere pessimista, confesso che dentro di me ho qualche tremore in questo momento, ma non è ancora, come dire, scattata l’ora in cui accadranno queste cose terribili che sono una guerra, siamo ancora in tempo a ragionarci su. Ecco perché, io con voi, questa mattina vorrei avere anche questo dialogo, parliamone insieme, cosa possiamo fare per capire una buona volta che la guerra è la più grande stupidità criminale che l’umanità possa compiere? E il discorso somiglia molto a quello dell’onestà dove diciamo che l’onestà dovrebbe essere un dovere di tutti i cittadini, però tutti i cittadini devono praticare l’onestà, se no è solo un’affermazione di principio. Le affermazioni di principio ci danno, come dire, l’effetto emerito di aver pronunciato un bel concetto o una bella frase.

Ma noi dobbiamo arrivare a capire, cominciando a capire, chi scrive la storia, chi la scrive, sono pochi quelli che l’hanno patita la storia. Al corriere una signora scrive: “Attendo con angoscia la colata di retorica che ci verrà addosso nel 2015, già se ne intravvedono i bagliori”. Negli anni ottanta furono incaricati degli storici austriaci e italiani di scrivere la storia della prima guerra mondiale soprattutto circa i due paesi sulla base di dati inconfutabili e senza retorica. Ricordo che da parte austriaca fu incaricato il prof. Vandrusca, già questo è un nome da romanzo sceneggiato, e per la parte italiana un signor che si chiama Silvio Furlani bibliotecario della Camera dei Deputati, molto attivo fino alla sua morte nel 2001. Vi dico subito una cosa, l’annuncio con un aforisma, ‘Sapeva veramente tutto ma solamente quello’. Cosa c’è dietro questo ‘solamente quello’ la mancanza di conoscere direttamente la realtà di cui stai parlando. Ho letto, alcuni riletto i libri di testimoni diretti della guerra, come l’amico Rigoni Stern per la Russia, come Gadda per la prima guerra mondiale, Lussu, Weber e altri e ho trovato delle pagine di straordinaria, come dire, di sensibilità percettiva, nel cogliere quelle sfumature che lo storico di professione non può avere, non può avere. Orbene, vi dirò che ho trovato ancor più che in questi autori, che pure hanno vissuto direttamente quegli avvenimenti ma gli hanno anche, uso una brutta parola, metabolizzati, nello scrivere il loro romanzo, perché questi libri sotto hanno scritto romanzo. Ho letto invece pagine di anonimi. C’era il nome in fondo, ma era il nome di quelli che non hanno nome, come dire Giovanni Brambilla o Rossi Eugenio, non sono nomi, sono indicazioni anagrafiche. Bene la verità l’ho trovata lì, perché anche il testimone-scrittore, non dimentica di essere scrittore. Chi invece ha scritto quelle testimonianze le ha scritte o per sé o per i propri familiari. Ho letto delle pagine struggenti.

Allora mi ripeto la domanda, chi scrive la storia? Quella ufficiale gli intellettuali e prendo dentro tutti, quella reale, coloro che non hanno parola.

In questi giorni, mi ricordavo d’aver letto nell’ultimo libro di un vostro collega, che ritengo una delle persone più limpide per onestà professionale e di cittadino, Corrado Staiano. Voi sapete che Corrado Staiano venne allontanato o si allontanò lui dal Corriere perché dopo che tutta la redazione aveva protestato per l’allontanamento di de Bortoli, in quanto aveva scritto un articolo non gradito da Bush. Il comitato di redazione del Corriere espresse un documento di disapprovazione, ma dopo due giorni tutto era tornato normale, solo Corrado Staiano ha dato le dimissioni dal Corriere per onestà, è andato all’Unità, poi de Bortoli è tornato, e de Bortoli lo ha richiamato al Corriere. Scrive Corrado Staiano, “Ogni generazione ha le sue guerre, ma come non provare angoscia pensando alle guerre che seguitano a devastare il mondo e il più delle volte non si sa neppure dove esistano?”

“L’industria della morte con i suoi apparati non soffre di crisi d’astinenza. Gli uomini adesso hanno esteso totalmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda fino all’ultimo uomo”. Sigmund Freud scrive queste riflessioni nel 1929, è l’anno del crollo della borsa di New York e della grande depressione. Il 30 luglio del 1932 Albert Eintein scrive a Freud, “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? È ormai saputo che col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta”.

Se io confronto questi due momenti oggi con queste agitazioni ormai intrattenibili di popoli che sono stufi di essere soltanto, come dire, un gregge comandato, ma che richiedano per diritto la loro libertà di esistere, secondo il loro progetto di esistenza, bene questo momento, rispetto a quello famoso di Kennedy, Papa Giovanni XXIII, questo è ancora più pericoloso. Ecco perché non possiamo limitarci soltanto a dire non va bene, disapprovo, sottoscrivo un manifesto. Ciascuno di noi è una parte del tutto e quindi ciascuno di noi deve, come dire, agire, comportarsi, vivere secondo quel progetto di democrazia conquistata con sacrifici di cui tutti sanno e di cui molti oggi dimostrano di fregarsene. Allora sapete chi sono i peggiori di questa categoria, quelli che non vanno a votare, quelli che non hanno mai conosciuto il diritto dovere che ci hanno procurato quelle generazioni in quel momento storico, allora fu un momento terribile, oggi dobbiamo impegnarci ancora di più. C’è modo di liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? C’è un modo? Certo che c’è. Io di questa, diciamo, di questa sonnolenza a vivere la nostra democrazia ecco vorrei che accadesse qualcosa che scuotesse la nostra sonnolenza: Ogni tanto  scrivo degli aforismi delle massime, colte qua e là, che però mi aiutano ad affrontare la giornata. Evelyn Piellè giornalista francese, dice “Non è la fine del mondo è la fine del nostro mondo”. Ma attenzione se è una fine di cui noi siamo gli artefici perché progettiamo questa fine questa conclusione la progettiamo per cambiare ma guai se il cambiamento fosse affidato al caso. “Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”, Albert Einstein.

Chi sono questi che vado citando? Sono i padri della Patria, sono coloro che ci aiutano nel percorso quotidiano a capire quello che magari da soli non riusciamo a capire.

“Perché un pensiero cambi il mondo bisogna che prima cambi la vita di colui che lo esprime. Che cambi con l’esempio”, Albert Camus.

Questa riguarda il cinema ve la dirò dopo, ma perché, ve la dico adesso. “Sono un uomo in fin di vita, morirò da un momento all’altro con la speranza di andare in Paradiso, senza critici e dove si possa avere ancora gli amati vecchi films. Se vado in Paradiso, spero di trovare una macchinetta che mi permetta di proiettarli avanti e indietro quante volte voglio”, Manuel Puig.

Vorrei avviare un dialogo con voi, ditemi se le mie preoccupazioni sono condivise con voi, ditemi se siamo in grado, ancora, di mettere in atto un’azione che cambi il corso della storia,  perché o noi cambiamo il corso della storia o la storia cambierà noi e se è così sarà dura. Siamo ancora in grado di essere artefici di una società civile convivibile?

C’è in giro questa sonnolenza, come quelle nebbioline che attenuano i contrasti.

Diamoci una svegliata, diamoci una svegliata. Voglio intanto anche ringraziare Cecilia Valmarana per quella volta che venne a trovarmi a Roma mi disse “E la guerra del ‘15-‘18?”

E beh, si certo, bisognerebbe, e ho detto guarda Cecilia io massimo posso scriverti un copioncino perché oramai sono stufo di dire non faccio più films e poi smentisco me stesso … però ho capito che a questo impegno non potevo sottrarmi. Anche perché, mi ricordo, bambino, che mio papà andò in guerra a 19 anni, bersagliere ardito. Carso, Isonzo, Piave. E quando noi facevamo un po’ i capricci ci diceva, guardate che se viene la guerra capirete cosa vuol dire, anche un boccone avanzato. Ci sembravano esagerazioni a noi bambini perché non c’erano questi problemi, poi gli ho dovuti patire anch’io. Ma non si possono trasferire le esperienze come dei pacchi postali del buonsenso ognuno deve capire da sé e noi dobbiamo capire anche per coloro che da sé non sono magari capaci o non ne hanno voglia, come un dovere. E adesso chiudo dicendovi questo. Quell’anno di differenza tra il 1914 e il 1915 per l’Italia, sono successe cose vergognose. Si sono mercanteggiate che condizioni di convenienza o meno, se entrare o no nel conflitto mondiale. Se era bene schierarci con gli Austriaci o comunque non essere belligeranti, con i quali avevamo fatto un patto di non belligeranza. Dopo di che la Casa Reale Savoia che ahimè, sappiamo quanto sia distratta nei confronti della storia mentre la vivono, hanno ritenuto che era più conveniente, forse, legarsi a quelle nazioni che avevano bisogno di mercati in Europa di cui l’Austria-Ungheria era …

Un po’ come oggi l’America. Cosa è successo in quell’anno? Andiamo a vedere, diciamo agli storici, fate questo lavoro, e vedrete quanti fatti vergognosi di cui dobbiamo arrossire  abbassare il capo. Allora non vi pare questo il modo di celebrare un centenario? Vogliamo capire perché. Qualcuno di voi mi sa dire perché e garantire il perché? No. Lo storico ha parlato d’altro e la storia che sono stati incaricati di scrivere chi gliela commissionata? Gli interessati. Vorrei sapere se Vandrusca e l’altro italiano hanno mai letto o incontrato direttamente qualcuno di questi testimoni.

Mi ricordo che ha Milano ci fu un convegno, dopo vi lascio parlare, ho parlato troppo, ci fu un convegno alla Triennale intitolato ‘L’agricoltura di città’ da lì sono arrivati gli orti, gli orti verticali, trasversali. Mi ricordo, ero uno dei relatori, ad un certo momento, ho chiesto alla sala gremita, ‘Scusate, ma per avere anche un’indicazione circa l’argomento, la materia trattata, per caso c’è un contadino qui in sala? Non c’era. Non c’era, per cui ingegneri, architetti, design ect. volevano indicare ai cittadini come fare l’agricoltura. Mi piacerebbe sapere come reagirebbero se il contadino volesse fare lui l’indicatore del design. Gli direbbero, ma tu fai il contadino per favore. E tu intellettuale fai l’intellettuale e se vuoi parlare di agricoltura vai coltiva un campo dopo di che potrai parlare.

La sonnolenza è anche un po’ questo.

Allora, cosa mi dite? Cosa facciamo? Come ci muoviamo? Possiamo dire che oggi qualcosa può aiutarci a fare qualcosa, possiamo dirlo?

In questo silenzio attendo che si levi una voce amica…

La guerra non è un’epidemia di un virus sconosciuto, è un virus conosciutissimo, da quando la comunità ha provato a convivere per gruppi. Nelle stesse famiglia scoppia la guerra ogni tanto. Ecco diverso è il conflitto verbale, lo scontro di opinioni, che anzi danno, come dire, vivezza alla vita, alla società in cui viviamo, e un conto è prendersi a sberle. Allora nel momento in cui ci si prende a sberle non c’è più possibilità di ritorno, tutto quello che si può sollecitare come rimedio, è che l’atteggiamento contro il conflitto che diventa guerra, sia di ciascuno di noi. Tu non fai in tempo a fare una cosa che so, sfiori uno o fai uno starnuto e ti mandano vaffanculo, ma capita a tutti di starnutire, ma perché mi devi offendere. Come in alcune trasmissioni televisive dove il linguaggio è a dir poco indegno.

Quando parlo di sonnolenza, è anche questo, che non ci facciamo più caso…

Io credo che le grandi guerre nascono dalle piccole difficoltà che ciascuno di noi non affronta, dalle omissioni, da piccoli atti che messi tutti insieme alla fine, portano a un grande conflitto.

E allora da dove cominciare? Ma da noi stessi. Da noi stessi, perché, se agiamo nella convinzione del valore della onestà tutti lo percepiscono anche se non parlate, da come respirate si percepisce. E la distanza tra proclamare il valore di un valore , e viverlo, praticarlo, vi rinvio di nuovo a Camus, “Se vuoi che un pensiero cambi il mondo devi essere tu a cambiare te stesso”…

La cosa che posso dire del film è che dopo la disfatta di Caporetto tutti tornano a casa loro e dopo un po’ tornerà l’erba sul prato, torneranno i prati che è il titolo del film…

Nel film ci saranno due personaggi che fanno prevalere la propria coscienza, su le esigenze militari dei comandi superiori, ossia disobbediscono. La disobbedienza, è un atto morale, che diventa eroicità, quando ciò che tu paghi come disobbedienza è la morte. E qui ci sono due casi, nel film, uno di un alto ufficiale e uno del solito anonimo soldatino il cui nome non significa nulla. Però tutti e due con la medesima coscienza del disobbedire. Qualche giorno fa ho rivisto, in un programma televisivo, il famoso processo dei responsabili nazisti, nel dopo guerra, con Eichmann che continua a dire noi abbiamo obbedito a degli ordini.

No. Non ci sono ordini quando un ordine è un crimine.

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“Che espressione vuoi che faccia?”

Si è parlato fino adesso di guerra, pensavo ad una espressione pensosa, che pensa alla guerra, magari con il mento appoggiato sulla mano.

“Oh banale!”

Allora che pensa al futuro.

“Il futuro,  … sai sono andato a trovare Tonino Guerra pochi giorni prima che morisse. Abbiamo parlato di diverse cose , poi alla fine dell’incontro mi disse: ‘devo dirti un’altra cosa, ma te la dirò la prossima volta’. Ecco il futuro”.

Ermanno Olmi durante le riprese fotografiche per il suo ritratto_Giulio Malfer.