mino Bertoldo

mino Bertoldo

PORTRAITS

Mino Bertoldo per i pochi che non lo conoscono è il fondatore e direttore artistico del Teatro Stabile di innovazione a Milano, che con la sua programmazione coraggiosa iniziata nel 1976 ha portato in Italia ad esibirsi tutti i grandi artisti contemporanei internazionali, dai più trasgressivi e forse poco graditi, a quelli che poi sono diventati famosi per il loro unicità artistica.

Lo incontro a Camporovere, a CasaTanzerloch di Gil, diventata ormai un passaggio obligatorio per chi lavora e vive di arte.

Cosa ricordi di quei tempi eroici, quando portavi in Italia e a Milano gli artisti più trasgressivi e discussi del tempo?

A dire il vero, adesso, mi viene in mente solo un elenco di morti, perchè quasi tutti non ci sono più. Pazzesco! Sorride malinconico.

… Posso incominciare con un’affermazione fatta da un grande scrittore vicentino Goffredo Parise che diceva: “l’arte non si insegna e non si impara, ma si fa, e quasi sempre per miracolo o per caso”.

Ed io, che non ho fatto nessun percorso classico tradizionale, nessuna Accademia o corso di Laurea specifico, mi ritrovo appieno in questa affermazione. Nel senso che ho si l’amore per le arti visive, per il cinema, per il teatro, ma non mi sono avvicinato studiando, ma frequentando persone che mi hanno dato tanto, sono stati i miei maestri. Vivendo di volta in volta con gli artisti che sceglievo. Sentivo un forte senso di apparternenza, loro mi facevano capire che ero uno spettatore privileggiato. Ancor oggi, non mi intrometto nelle scelte degli attori, degli autori, lascio che il regista si possa esprimere, è lui che ha la responsabilità piena dello spettacolo, anche se le scelte a monte si fanno insieme, si discute su quattro, cinque progetti che mi propongono, si sceglie una linea e poi ognuno fa il proprio lavoro in piena indipendenza.

Infatti i giornalisti, alla prima delle recite, mi chiedono sempre com’è lo spettacolo? E io rispondo che non so, che lo vedo anch’io, adesso, per la prima volta. Si stupiscono, come a dire ma allora non sei serio! Ma, scusa, da che punto di vista mi considerate poco serio? Vorrei capirlo una buona volta! Considero, invece, la libertà una cosa fondamentale e questo basta e avanza. Ripeto se avessi fatto l’Accademia drammatica se avessi frequentato che so la Cattolica seguendo Storia del Teatro sicurissimamente avrei condizionato in modo pesante, le rappresentazioni intervenendo sulle scelte quell’autore, per andare a celebrare la mia prè conoscenza, favorendo certe produzioni o certi incontri con artisti che potevano essere più in sintonia con il mio pensiero. Perciò ho sempre cercato di sfruttare questa mia ignoranza, questa mia non conoscenza, nel modo più onesto, più sincero, mettendomi dalla parte di chi non sa e che a sensazione, a intuizione, a incontri che poi sono sempre gli incontri che ci arricchiscono, ci cambiano, ci migliorano, anche se a volte non è così, di scegliere senza pregiudizzi iniziali.

… Ecco perchè la situazione italiana è cosi meschina, perchè ci sono dei direttori di teatro che da un certo punto di vista comandano la vita di questi registi-autori, e tutto con i soldi pubblici, che in alcuni casi sono anche tanti, e il problema forse è anche questo.

Voglio andare controcorrente facendo questa considerazione, guardate quello che è successo in Germania in Svizzera in Austria dove dagli anni ‘60-’70 in poi hanno messo montagne di soldi a disposizione dell’arte. Rispetto a noi, si può valutare dieci volte di più! E ora? È esploso il problema dei tanti musei vuoti, di teatri finanziati pubblicamente che non hanno pubblico. Cioè per assurdo, avere meno soldi è più stimolante di obbliga a star sempre sul filo.

Certo io ormai ho una certa età e vorrei avere una situazione finanziaria più tranquilla, ho sempre 15 persone fisse tutti i mesi da pagare, ho delle responsabilità con loro, con le loro famiglie, più con gli attori che di volta in volta sono coinvolti, perciò diventano circa 20 persone da pagare tutti i mesi, un bel pensiero!

Immagino… Torniamo al tuo lavoro artistico però, aver portato le performance di Hermann Nitsch negli anni ‘70, bisogna aver avuto, lasciamelo dire, ‘due palle così’!

Era il 30 novembre del 1976 per la precisione, è stata la prima ‘azione’ di Hermann Nitsch conclusa. In quanto quelle di Torino e Bologna era entrata la polizia ad interromperle, troppo trasgressive!

Ricordo che iniziò alle nove e si protrasse fino alle due di mattina, una cosa straordinaria! Ho dei ricordi bellissimi. È stata una catarsi, una catarsi vera, perchè, in quella cantina, che è stata la prima sede di ‘outoff’, in quel stanzone di circa 10×10, sono stati versati 100 litri di sangue, 100 litri di acqua, alla fine c’era una melma per terra… qualcuno ha incominciato ad intingere il proprio dito della mano nella melma e a disegnare sui muri delle ‘A’ anarchiche. È stato straordinario, un vero momento di libertà! Immaginati che per la musica erano venuti dei ragazzi del conservatorio, oggi non glielo permettererbbero mai, ad un certo punto, proprio per la tensione creata, sono andati fuori di testa, la temperatura sarà stata 40 gradi così tutti a petto nudo, una cosa che ha coinvolto tutti. Un’atmosfera di orgia, di catarsi, ancora oggi lui si ricorda di questa performance una delle migliori che abbia fatto.

… Le persone che sono state i miei Maestri nel mondo dell’arte sono principalmente quattro-cinque a cominciare dal grande collezionista GioBatta Meneguzzo di Malo, dove sono nato e cresciuto fino a 21 anni. Lui ha fondato il museo la ‘Casabianca’ di Malo, dove ha raccolto tutta la grafica degli anni ‘60-’70. La sede del museo, è un palazzotto primi ‘700, progettatato da Giò Ponti, e chiamato ‘Lo scarrabeo sotto la foglia’.

All’inaugurazione sono venuti i più importanti artisti italiani ed è stata un’occasione unica per me di conoscerli. Artisti, registri ed anche un aggregato del Living Theatre… Ho incominciato a frequentare Meneguzzo, lo accompagnavo quando andava ad incontrare gli artisti.

Poi ho conosciuto Francesco Conz di Cittadella, lui seguiva si il mondo dell’arte italiano, ma non solo, forse per la moglie tedesca, aveva conosciuto tutto il mondo dell’azionismo viennese del tempo, e allora mi raccontava cosa succedeva fuori dall’Italia.

Un’altra figura per me importante è stato il direttore della rivista ‘Alfabeta’ Gianni Sassi a Milano. Rivista che allora andava per la maggiore, collabaravano tutti i più grandi artisti italiani e non solo. È stato un’altro pozzo da dove attingere. Mi diceva guarda che Claudio Rocchi a fatto una roba interessante, o Battiato un nuovo disco.. e così si creavano delle occasioni, senza dover fare chi sa quali analisi, con una componente, che si può definire, di leggerezza, di distacco, un modo proprio outoff appunto. C’era un desiderio di dar spazio a tutti a quelli che la pensavano come te ma anche a quelli che dicevano il contrario di quello che pensavo, e questo non mi metteva in difficoltà, anzi era un’ulteriore crescita.

E poi il regista Lorenzo Loris e il critico Franco Quadri che hanno lavorato per più di vent’anni con me.

Franco Quadri mi ricordo nel ‘76 mi chiamò perchè voleva fare una recensione sulla rivista ‘Panorama’ di uno spettacolo, però in quell’occazione un si fece niente. Comunque continuò a frequentare lo spazio, gli piaceva quel clima, e così a incominciato a darmi delle informazioni di quello che c’era di nuovo nell’arte sempre più coinvolto tanto da diventare anche un mio regista per diverse rappresentazioni.

Loris invece è ancora il regista di outoff, mi piace molto come lavora, il suo rapporto con gli attori. È un perfezionista, un spaccacazzi, però alla fine del lavoro gli attori si rendono conto che quell’esperienza li ha fatti crescere, che è stata un’ esperienza unica.

E oggi come vedi la situazione, il tuo futuro come direttore di un teatro sempre proteso all’innovazione?

Naturalmente tutto è cambiato, e siamo rimasti in pochi a fare questo tipo di lavoro. Il vero dramma è stata l’omologazione, pensa che in quegli anni, nonostante non ci fossero soldi c’erano magari 100 luoghi dove ogni sera potevi andare ad ascoltare un certo tipo di musica, a vedere un certo tipo di performance o di teatro, ognuno aveva la sua identità, era straordinario, questo fino agli anni ottanta, poi buio.

Probabilmente anche il troppo denaro produce problemi. Sento dire molti ragazzi, ma se non ho il denaro come faccio? Ma caro, rispondo, trova il modo, non è che se non hai i soldi ti rassegni a non esprimerti, trova il modo per farlo lo stesso. È troppo facile, forse anche troppo vigliacco, fare l’attore solo quando ci sono i soldi. Poi i soldi possono arrivare, anche il successo può arrivare, evviva! Ma la scelta di fare l’attore deve avere altre motivazioni, motivazioni artistiche … Il problema è quando ad aver sucesso sono i soliti, i banali, quello è il problema. Quando nei linguaggi artistici vince la mediocrità.

E come ne vieni fuori?

Ne vieni fuori con gente che dovrebbe avere il coraggio di cominciare a dire, quelli sono finti, inautentici, disonesti sotto sotto, ma non lo fanno. Anzi cercato di avere l’amicizia perchè ti può portarea a quel giornalista, o a quel direttore di museo o di teatro, sembrano proprio rassegnati. Questo è il tragico.

Poi parli con i ragazzi e capisci perchè vogliono scappare all’estero per fare il giornalista, per fare l’ing del suono, è così anche per mia figli, in effetti il paese è in mano a dei delinquenti, ed è un disastro quasi su tutto, ma dico, poniamoci una domanda, i peggiori comandano e i migliori se ne vanno, allora anche tu favorisci un peggioramento ad andartene, è adesso che bisogna restare, bisogna sentirsi responsabili per il proprio paese, essere testimoni e esprimere un qualcosa che fa capire che non sei complice di questa situazione. Incominciare così, mi sembrerebbe doveroso e necessario. Anche gli intellettuali potrebbero cambiare la situazione se si esprimessero come Pasolini o Testori… che sottolineavano le nostre pecche ce le buttavano in faccia. Forse questi intellettuali sono anche loro complici o sono differenti a me…

… In questa situazione è sempre difficile trovare nuove energie questo è vero però quest’anno con la nuova stagione, abbiamo deciso di fare l’ultima opera di Testori, ‘In exitu’, un testo durissimo, dove il giovane protagonista drogato muore di overdose, nei bagni della stazione centrale, dopo essersi prostituito per comprarsi l’ultima dose di eroina. Testori ha sempre avuto coraggio, ha scritto grandi saggi, una figura importante per la città. Insieme allo spettacolo c’erano diversi incontri per parlare di Testori con linguaggi diversi, conferenze e incontri con vari personaggi della città, e questo ha fatto crescere l’interesse per tutto il nostro lavoro.

… E poi l’energia ti ritorna quando incontri personaggi come Antonio Rezza. Ha lavorato con noi sette anni, e ora è una vera macchina da guerra, teatro sempre esaurito con un pubblico giovanissimo. Lui lavora molto sul web ha delle persone che fanno solo quello, e poi fa morir dal ridere tra l’altro. Negli anni settanta poteva capitare che ad alcuni spettacoli avevi otto spettatori e nessuno si stupivamo, adesso invece magari se ci sono 100 persone diciamo che sono poche, è questo anche un po’ il vero grande problema. I numeri. Il sistema ci ha obbligato ai numeri. e poi ora non bastano più neanche i numeri, ci vuole una scuola di teatro alle stalle ora. Queste scuole sfornato decine e decine di attori e poi dove vanno? Cosa faranno? … Bisogna forse far capire che il mestiere dell’attore non è per tutti, che non possono arrivare tutti, che ci sono delle strettoie, degli imbuti, molto ma molto stretti, che ti devi sacrificare, che ti devi dar da fare, se no è troppo facile. Pensi che esci dalla scuola e incominci a far spettacoli? ma fai come si facevano una volta, è artigianato il teatro, e perciò vai a bottega guarda, posso fare l’aiuto? Posso stare a guardare? Questo devi fare. E invece vogliono far già gli spettacoli e si incazzano se non riescono subito. Dicono oggi è più difficili, ma non penso proprio. È vero che i giovani che vogliono fare gli attori sono tanti di più ed è già un problema gigantesco e poi scatta sempre la stessa storia che 9 su 10 quello che va avanti ha gli agganci, ha le amicizie, perchè è tutto così non è solo il pubblico che decide se vai avanti. È nel privato che si danno le occasioni a cugini, mogli, amanti, che non hanno niente a che fare con la bravura. È questo il grande problema che si riassume in una borghesia distratta, volgare spesso, cos’altro dire l’elenco sarebbe lunghissimo di affermazioni pesantissime, e mi riferiscvo alla borghesia dell’ultim’ora. Pensano solo al loro divertimento, questo è vero egoismo sociale._Giulio Malfer

http://www.teatrooutoff.it/