Touch_2020

Touch_2020

GIORNATA DELLA MEMORIA2020

In occasione della Giornata della Memoria, Lunedì 27 gennaio 2020 alle ore 11.00 la galleria di Venezia VISIONI ALTRE, in Campo del Ghetto Novo 2918, ospiterà il progetto “Touch” di Giulio Malfer e Piero Cavagna. Il progetto nasce in collaborazione con la Regione Toscana, con la quale i due fotografi hanno preso parte al Treno della Memoria nel 2019, realizzando, con alcuni studenti, un progetto artistico che si interroga sulle modalità del ricordo con l’intento di sollecitare e riabilitare la memoria.


Il progetto si presenta chiuso in una scatola di legno, da cui per l’esposizione verranno tolti e appesi i fogli in essa contenuti. Fogli bianchi su cui i testi sono stampati a inchiostro bianco. Per leggerli ci si deve avvicinare, li si deve girare in diverse inclinazioni e guardarli controluce, toccarli per cercare di interpretare con i polpastrelli quello che scrittura braille in realtà non è. Scrittura inesistente all’occhio distratto, ma che si rivela fondamentale a chi sa prestarle attenzione. In mezzo ai fogli un quadrato nero stampato su carta termosensibile, che, se scaldato dal passaggio delle dita, farà emergere il volto delle vittime della Shoa. Ma solo per un breve istante, prima che la loro presenza precipiti nuovamente nell’oblio.

La memoria interrogata da Giulio Malfer e Piero Cavagna è una memoria tanto tenace quanto labile e inerme nei confronti dell’oblio. Una memoria che chiede di essere “attivata” come una moderna installazione multimediale: si devono accendere i ricettori, sintonizzarsi sul suo canale, passarci accanto e fermarsi, dedicarle tempo.
Già in altri lavori Malfer aveva trattato il tema della memoria sotto diversi punti di vista: in “Ad occhi chiusi”, fotografie di familiari che stringono le foto dei loro cari tra le mani, e in “Ad aeterna memoria”, fotografie di pietre tombali che tentano di salvare i ritratti delle persone scomparse dall’incessante lavorio del tempo che ne rosicchia i lineamenti, restituendo l’immagine al bianco nulla in cui scompaiono i ricordi. Allo stesso modo già in altri lavori Malfer aveva costretto il visitatore ad avvicinarsi alle opere, come nelle foto dei Partigiani, che portano impressi sul vetro a caratteri bianchi piccolissimi le loro testimonianze sulla guerra. Dimensioni che impongono un avvicinamento, una sospensione della visione a distanza, tipica dello spettatore, che fa superare le barriere ed entrare in quella sfera confidenziale che la prossemica definisce intima. Da questa distanza possiamo scorgere le rughe nel palmo della mano di un vecchio reduce del fronte del Don, gli occhi che si accendono nella cavità oculare, che ci fanno immergere empaticamente nei ricordi come se fossero i nostri.

In greco il termine “memoria” ha la stessa radice di “smaniare”, desiderare, e al contempo di “martire”, colui che è testimone: due aspetti che delineano insieme l’atto del ricordare. Teniamo traccia del passato perché non vogliamo lasciarlo andare, e non possiamo dimenticare perché l’esperienza vissuta ci ha segnato così profondamente da diventare un punto nodale della nostra esistenza. Per far affiorare i ricordi serve interrogarli, serve attenzione, dedizione, cura, quella che oggi solo i bambini e gli storici riescono ad avere, gli uni per amore del racconto, come ricorda Cristina Campo, gli altri per quell’attitudine da “straccivendolo” di cui parla Benjamin nei Passagenwerk che porta a ricercare ovunque le tracce, i frammenti su cui si basa la storia.
Se il compito del fotografo è documentare, Giulio Malfer ci aggiunge quello del filosofo perché interroga, scompagina certezze e non propone soluzioni. Tutta l’operazione di Malfer è un invito all’approfondimento e alla lentezza, direzioni contrarie al moto attuale che brucia e consuma le esperienze attribuendo loro le caratteristiche spettacolari e temporanee di un evento. Le fotografie di Malfer sono un invito oggi a non dimenticare: un monito, un promemoria per i tempi futuri, “A futura memoria”. Erika Lacava